Dalla condivisione alla co-creazione
Il cosiddetto “say-do gap”, ovvero la differenza tra dichiarato da parte delle persone ed effettivo comportamento agito, è spesso il principale ostacolo che impedisce a progetti, iniziative, strategie commerciali, programmi o campagne sviluppate tanto da istituzioni come da aziende, di essere portati a compimento con successo.
Anche l’ambito sociale, ambientale, civico, non fa eccezione da questo punto di vista.
Una ricerca condotta da Ipsos, su un campione di oltre 10.500 persone tra i 16 e i 74 anni di età, in 12 paesi al mondo, mette in evidenza come il comportamento delle persone ad esempio in ambito di sostenibilità, come la scelta di prodotti con meno “overpackage”, l’attenzione al risparmio energetico domestico, il riciclo e la raccolta differenziata, ecc., confrontando i dati raccolti nell’ottobre 2014 con quelli di marzo 2020 (prime settimane di lockdown e pandemia), siano rimasti sostanzialmente invariati, o abbiano mostrato solamente incrementi marginali a distanza di 6 anni.
E questo malgrado moltissimi studi e dati ci raccontino di una sensibilità ed attenzione notevolmente maggiore da parte delle persone su questi argomenti nel corso degli ultimi anni.
Che l’uomo sia animale abitudinario, e che cambiarne il comportamento sia un processo complesso e di lungo periodo è cosa nota. E più il comportamento da modificare è percepito dal singolo come “faticoso” o che richiede un trade-off, o un rischio maggiore, tanto più il cambiamento sarà difficile da ottenere e richiederà ancora più tempo e investimento da parte di chi lo promuove
Le scienze comportamentali ci insegnano infatti quali sono gli elementi su cui agire per indurre la modifica di un comportamento “fissato”:
- la motivazione, ovvero io individuo voglio modificare questo comportamento?
- L’effettiva “abilità”, ovvero sono in grado di farlo?
- Il “processo”, cioè qual è la mia opinione rispetto al comportamento che mi viene richiesto
- l’impatto del nuovo comportamento nel mio ambiente di riferimento (casa, famiglia, lavoro, cerchia di amicizie, gruppo sociale, ecc.)
- il contesto sociale, quindi come si comportano al riguardo gli altri [1]
Una marca che vuole agire in ambito sociale, culturale, ambientale, può accontentarsi di “fare vetrina” delle proprie azioni e iniziative o è oggi chiamata a promuovere un cambiamento di comportamento da parte delle persone a cui le proprie azioni sono rivolte? E se è così, come può un Civic Brand agire per ottenere il comportamento desiderato?
Probabilmente possiamo dire che oggi è finito il tempo dell’attivismo della “condivisione” (ammesso che ci sia mai stato questo tempo), vale a dire il tempo in cui brand e aziende agivano in determinati ambiti e semplicemente “comunicavano” iniziative ed eventuali risultati alla collettività, per lasciare spazio all’attivismo della partecipazione e co-creazione. E la conferma di questa necessità di coinvolgimento e partecipazione ci viene data dalle stesse persone.
Nell’ultima rilevazione del nostro Osservatorio abbiamo rilevato che circa il 40% degli intervistati (popolazione adulta italiana) aderirebbe volentieri ad un’iniziativa in ambito sociale, culturale, ambientale volta a migliorare la propria comunità, o realtà in cui vivono, promossa da una marca o da una azienda [2]. Più di 1 italiano su 3 è fortemente convinto che se una marca o azienda vuole davvero impegnarsi in ambito sociale, ambientale, culturale, politico, deve passare attraverso il coinvolgimento attivo di cittadini e consumatori [2].
E questo potrebbe portare benefici anche alla marca stessa, dato che il 36% degli intervistati si dichiarano potenzialmente più propensi ad acquistare prodotti di un brand che li ha coinvolti in iniziative di valore sociale [2].
Quindi, aziende e cittadini devono lavorare fianco a fianco se vogliono poter fare la differenza e agire su temi in ambito sociale, culturale, ambientale o politico (41%), promuovendo iniziative abbiano un impatto diretto sulla propria città, territorio, comunità. (41%). [2]
Ad esempio, quasi la metà degli intervistati sembrerebbe favorevole a partecipare attivamente ad iniziative per promuovere uno stile di vita più sostenibile (48%), piuttosto che co-operare per mantenere il proprio territorio pulito (45%) così come per portare aiuto alle famiglie della propria città o comunità che sono in difficoltà economiche (41%). Ma le possibili iniziative in cui la partecipazione, co-creazione e collaborazione di aziende e cittadini potrebbero portare concreti miglioramenti per la collettività sono molteplici.
Perché però marche e aziende possano davvero promuovere un cambiamento di comportamento da parte dei cittadini, e cercare di colmare di conseguenza il “say-do gap”, è necessaria una attenta pianificazione, tempo e risorse da dedicare, e soprattutto, come ci dicono gli stessi intervistati, dare alle persone il ruolo di protagonisti, lasciando a marche e aziende un ruolo di aiuto, facilitazione e appoggio (35%) [2]
È evidente che questa richiesta di coinvolgimento e partecipazione richiede uno spostamento di focus delle iniziative aziendali, spesso troppo “alte e distanti” rispetto alla vita quotidiana delle singole persone, verso una maggiore concretezza e vicinanza.
Dal “macro”, al “micro”.
Un equilibrio non facile, una sfida e un’opportunità aperta per i Civic Brands.
[1] IPSOS MAPPS behaviour change model (Motivation, Ability, Process, Physical, Social).
[2] Top Box scala 1–5 — Molto d’accordo